La storia

Immerso nei boschi dell’Appennino Bolognese, in una valletta aperta e solatìa attraversata da un irrequieto fiumiciattolo di montagna il Gambellato c’è, da oltre 500 anni il nostro piccolo mulino.

Due macine, una da grano e una da formentone, un grande bottaccio, la riserva d’acqua per macinare durante l’estate quando il fiume è scarso, due imbocchi a cui corrispondono i due enormi fusoni con le pale, erano il motore propulsivo che nella stanza sotterranea, la stanza dell’acqua tutta a volta romana, dava vita alle macine di pietra che roteavano rumorosamente.

Tutte le famiglie della zona dovevano fare almeno mensilmente un viaggio al mulino per portare il sacchetto di grano del loro raccolto da macinare e la cui farina doveva essere sempre fresca pena la comparsa di parassiti vari. Quindi ogni piccolo rivolo d’acqua diventava importante per la comunità e ogni valletta aveva il suo mulino.

In questo luogo dove la storia ha lasciato le sue tracce nelle strade e negli opifici disseminati lungo le direzioni che conducevano per la via breve alle città, al confine tra Toscana ed Emilia Romagna, ma sopra tutto al confine tra Firenze e Bologna, in tempi remoti, c’era un convento oggi scomparso del tutto e il nostro mulino era con tutta probabilità il punto sul fiume dove i frati macinavano per i loro bisogni intorno al XI XII secolo.

Da qui il nome, “il mulino del frate” e se le nostre valutazioni non sono sbagliate si potrebbe ipotizzare una costruzione nata intorno al 1.200 / 1.300, periodo nel quale tra l’altro i potenti bolognesi incentivarono nell’alta valle del Reno, dell’Idice e del Santerno la costruzione di molti di questi mulini, tutti con la stessa struttura.

In posizione strategica rispetto al valico della Futa, le tracce delle strade carraie che passavano di qui sono profonde e incassate nel terreno, segno di secoli di transito, spesso fiancheggiate di muri a secco antichissimi, testimonianza di una geografia oggi completamente scomparsa.

Dopo il 1.480 le genti scendevano da Bruscoli, da Monghidoro, da Castel del Rio, da Firenzuola per andare a pregare a Boccadirio dove sarebbe poi sorto il Santuario della Beata Vergine, ma prima ancora , in epoca etrusca, poco distante c’era un luogo sacro agli antichi  viandanti che transitavano in queste valli le cui vestigia sono state scoperte di recente quasi per caso da un appassionato cultore della storia e della geografia locale e oggi oggetto di studio da parte di archeologi americani.

Il Mulino del Frate è ancora oggi il luogo di passaggio del sentiero 17 del CAI di Bologna, Dell’Alta via Dei Parchi, è a poca distanza dalla Via degli Dei, della GEA la grande escursione appenninica a significare che ancora oggi le strade percorse a piedi sono molto diverse da quelle a cui ci siamo abituati con le auto.

Come spesso si faceva, all’inizio si costruiva soltanto la riserva d’acqua e una modesta stanza per la macina sotto la quale c’era il fusone con le sue cucchiare, poi via via nel tempo il mugnaio ingrandiva gli spazi e aggiungeva stanze e piani al primo nucleo fino ad ottenere una casa in pietra di tutto rispetto. Solida e compatta la casa del mugnaio era sempre la più bella, la più fornita di servizi, quella senza la stalla sotto ai piedi per scaldarsi d’inverno come avevano i contadini.

Il mugnaio non aveva mucche nella stalla e quindi non aveva bisogno di terra per il fieno. Era ricco, aveva “il denaro sonante”, non doveva coltivare nulla, quello che serviva lo poteva comperare. Di conseguenza i mulini non erano piccoli poderi come la maggior parte degli insediamenti della mezza montagna e la vita dei mugnai migliore perché non si sporcava le mani di terra.

La casa, invece era molto solida, tutta in pietra, dotata di salde fondamenta, spesso ancorata ad un trovante di roccia, vicino al fiume sì, ma non tanto da esserne travolta durante le terribili e imprevedibili piene. 

E questo tipo di costruzione ha retto nei secoli a tutte le intemperie e capricci del tempo, terremoti compresi senza subirne danni significativi.

 Tetto di lastre di pietra serena, legno di castagno e di quercia, malta e sabbia di fiume sono i materiali che abbiamo trovato e che abbiamo utilizzato, ristrutturando con il massimo rispetto del lavoro degli antichi.

 Oggi

La casa si trova su di un’ansa del fiume che la circonda a semicerchio, leggermente in alto e a sostegno di un grande bottaccio, perfettamente integro, che pescava l’acqua per mezzo di un canaletto che andava allungandosi sempre di più a mano a mano che i secoli passavano ed il letto del fiume scendeva. La lunghezza del canale del nostro mulino è anch’essa un segno dell’antichità della costruzione: mantenere il dislivello tra la presa dell’acqua del fiume e il canaletto che la portava alla riserva dava al mugnaio una serie di diritti che gli permettevano di usare anche il terreno altrui per motivi di utilità pubblica.

Oggi una piccola pompa elettrica risolverebbe in un attimo il problema che nel passato era veramente imponente, ma non abbiamo intenzione di riempire il bottaccio per questioni di …salute: qui di umidità ce n’è abbastanza !!!! La casa però è asciuttissima, tanto da dover usare gli umidificatori sui termosifoni in inverno!!!

Non siamo distanti dalle comodità: a 300 metri dalla fermata dell’autobus, a 3 km dalla frazione di Baragazza, a 7 Km dal paese di Castiglione dei Pepoli, siamo più vicini a Firenze, 35 km che a Bologna 45 Km città nostro capoluogo di provincia.